L'ultima intervista di P. P. P., LICEO GALVANI

Siamo tutti in pericolo: l’ultima intervista di Pier Paolo Pasolini
di Claudia Canestrelli – 5O Liceo Galvani


Roma, estate 1975. Avvenuta poche ore prima della tragica morte di Pasolini, questa intervista di Furio Colombo racchiude il pensiero di Pier Paolo Pasolini sulla società italiana.
Il tema centrale dell’intervista è la lotta di Pasolini contro le istituzioni, le persuasioni, le persone che incarnavano i poteri della società in cui viveva. Parliamo di una società neocapitalistica, che aveva abbandonato i valori che per Pasolini erano fondamentali, come la vita rurale semplice o la famiglia. Pasolini parte, nell'intervista, da Salò o le 120 giornate di Sodoma, ma per capire il percorso che aveva portato l'artista a questa opera bisogna partire da lontano. L'intento delle sue opere fino agli anni Cinquanta, e oltre,  era stato, infatti, di ridare valore a realtà che la nostra società  ignora o soffoca. A partire dai suoi libri Ragazzi di vita e Una vita violenta, Pasolini vuole mettere in luce la realtà dei marginali, in questi casi delle borgate romane, una realtà che si manifesta però non solo a Roma, ma in gran parte del nostro paese: una situazione di povertà estrema, un gruppo di ragazzi che passano le loro giornate a fare niente, che non si preoccupano del loro futuro ma vivono la vita alla giornata, tra qualche piccolo crimine e giochi tra ragazzi. Ne emerge una visione del mondo dal punto di vista dei ceti più bassi, che non fanno parte della massa che va dietro al consumismo e all’industrializzazione sempre crescente, tuttavia desolata. Lo stesso punto di vista è adottato anche nel suo primo film Accattone, che racconta la storia degli emarginati della società, gli ultimi elementi della catena sociale.
Ma anche questi ceti, o queste persone (se si preferisce) hanno perso quella purezza che lui ha continuato a ricercare per tutta la vita, furiosamente, senza poi trovarla, neanche in quegli esclusi in cui inizialmente aveva creduto di ritrovarne la traccia.
Pasolini si concentra poi sulle sue ultime opere, quelle più controverse, che hanno scatenato un immenso scalpore tra il pubblico perché sono una prova schiacciante ma molto provocatoria – anche nelle scelte estetiche -  del declino della società moderna: parliamo di “Salò o le 120 giornate di Sodoma” e “Petrolio”, in cui Pasolini affronta argomenti molto pesanti con l’intento di disgustare il suo pubblico. Ma in realtà è tutta una metafora: nello sconvolgere il suo pubblico con scene esplicite e violente di depravazione fisica, morale e mentale come nel suo film Salò Pasolini non sta rappresentando la mente malata di quattro uomini scelti per caso: quei quattro uomini sono il simbolo dei poteri della società contemporanea: potere di casta, potere ecclesiastico, potere giudiziario e potere economico. Non c'è più nessuno spazio di libertà, né, tanto meno, di purezza:  alla crudeltà  dei torturatori corrisponde una sorta di complicità delle vittime, completamente succubi non solo della violenza esplicita, ma di quella che le ha plagiate, reificandole e mercificandole.
L’intervista si chiude con le parole di Pasolini “siamo tutti in pericolo” ed è proprio questo a cui l'intellettuale si riferisce: “il potere è un sistema che divide soggiogati e soggiogatori”, afferma Pasolini, che accusa questo potere di voler creare una società in cui l’individualità si perde completamente, perché per essere controllati dobbiamo essere tutti uguali.
C’è una sorta di nostalgia che persiste durante tutta l’intervista e che verrà svelata solo tra le ultime domande: Pasolini, infatti, ammette di provare una grande nostalgia nei confronti della gente che egli stesso definisce “povera e vera”, che combatte per i propri diritti senza volere il controllo assoluto su nessun altro. La differenza tra loro ed il resto della società è che essi combattono per abbattere quel padrone a cui sono soggiogati, ma senza voler diventare padroni loro stessi, mentre il resto della società esegue solo gli ordini, senza preoccuparsi di provare a cambiare le cose, e - dato il pericoloso di tutti – senza accorgersi affatto di essere funzionali al sistema,  che non saranno mai in grado di reagire.
Ma allora, come si può evitare il pericolo? A questa domanda Pasolini rispose in un primo tempo che non aveva alcuna fiducia nella possibilità di un riscatto che non rispose mai, ma poi, alle insistenze dell'intervistatore concluse di essere più bravo a scrivere che a parlare, quindi avrebbe ripensato ad una risposta da dare a quella domanda e che l’avrebbe scritta la mattina dopo. Ma quella mattina per lui non arrivò mai.


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