Le dinamiche del dominio

Le dinamiche del dominio.
La critica di Pasolini al suo tempo: eterodirezione e alienazione.
di Leone Tassinari 5O

«Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.»1
La cecità è la caratteristica principale della società moderna. Una cecità da non intendersi limitatamente come disabilità fisica, ma come impedimento mentale: una benda sugli occhi del cuore. La civiltà dello sviluppo, infatti, è girovaga, errante. Vive e si alimenta nel buio prodotto dall'assenza di un fine, o meglio, nella luce spettrale della mera conservazione di se stessa. Non conosce più umanità né compassione.
Pier Paolo Pasolini fu, in vita, uno scomodo lume sull’ipocrisia e sul marciume del cosiddetto 'sviluppo'. La forza della sua critica (e anche ciò che lo ha reso così interessante per noi lettori posteri) sta nello sguardo ampio e penetrante che dimostra di possedere: occhi capaci di strappare il velo che copriva la vera natura del mondo che si stava lentamente sostituendo all’Italia rurale del XIX secolo. L’Europa, devastata dall’ultimo conflitto mondiale, si abbandona finalmente al freddo abbraccio del capitalismo selvaggio. L’unicità di questo autore sta proprio nell’aver saputo raccontare l’ipnosi collettiva degli uomini e delle donne a lui contemporanei. Il petrolio, paradossalmente, era riuscito ad estinguere i fuochi della rivoluzione e l’acciaio aveva proiettato le menti indigenti verso la Luna.
Nel suo saggio Sviluppo e Progresso, pubblicato negli Scritti Corsari, scrive: «La tecnologia (l’applicazione della scienza) ha creato la possibilità di una industrializzazione praticamente illimitata, e i cui caratteri sono ormai in concreto transnazionali. I consumatori di beni superflui, sono da parte loro, irrazionalmente e inconsapevolmente d’accordo nel volere lo “sviluppo” (questo “sviluppo”). Per essi significa promozione sociale e liberazione, con conseguente abiura dei valori culturali che avevano loro fornito i modelli di “poveri”, di “lavoratori”, di “risparmiatori”, di “soldati”, di “credenti”. La “massa” è dunque per lo “sviluppo”: ma vive questa sua ideologia soltanto esistenzialmente, ed esistenzialmente è portatrice dei nuovi valori del consumo.»
Lo sguardo disincantato e lucido di tale personalità, essa stessa esemplificazione della contraddittorietà del presente nelle sue crasi interiori, ed avvallato dalla linea di pensiero della Scuola di Francoforte, porta inevitabilmente, tramite le sue modalità forti e scandalose, ad interrogarsi sui temi dello sviluppo e delle conseguenze che un ampliamento nelle possibilità scientifiche induce all'interno della società.
Il consumismo, così come la creazione di una nuova socialità e di un nuovo sistema comunitario, trovano dunque ampio spazio all'interno del pensiero dell'intellettuale, tanto da diventare punto cardine e di partenza della sua stessa opera filosofica, letteraria, cinematografica.

Per comprendere questo autore a fondo, tuttavia, bisogna soffermarsi prima di tutto sulla sua visione della struttura della società.
La gerarchia moderna in Pasolini si potrebbe idealmente dividere in quattro livelli: il crepídoma della società industrializzata è la Natura, principio della catena produttiva e quindi dello sfruttamento. Una Natura intesa come materia prima, ma anche come materia umana: cultura, filosofia, immaginazione, autenticità, concretezza etc. Il prezzo dello sviluppo è la distruzione di questo substrato. L'immagine ci ricorda gli scarichi di varechina nel fiume dei Ragazzi di vita, ma in senso più lato anche l'omologazione portata dalla rivoluzione del sistema di informazioni: «...la rivoluzione del sistema d'informazione è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza.».1
Il secondo livello, le colonne del tempio tecno-scientifico, è composto dai lavoratori, quelli che Marx avrebbe chiamato proletari: i contadini, i minatori, gli operai, che sono al contempo sfruttatori della Natura e sfruttati dalla borghesia imprenditrice. Tuttavia, diversamente dal proletariato protagonista del pensiero comunista, questa classe sociale ha assunto un nuovo ruolo all'interno della società capitalista: quello di consumatori. Il proletariato pasoliniano è totalmente immerso all'interno delle meccaniche del sistema consumistico e non ha più nessun interesse nella rivoluzione. Al contrario è incoraggiato a perpetrare le dinamiche di sfruttamento nella speranza di un'ascesa sociale, che lo porterebbe ad espandere il suo dominio ad altri uomini.
Il terzo livello è quello della borghesia imprenditrice, che Pasolini identifica con la “destra” in senso lato. I borghesi sono coloro che forniscono ai lavoratori gli strumenti per la distruzione e ne traggono profitto attraverso la vendita di beni superflui. Si potrebbe dire che, all'interno del tempio, i borghesi sono i sacerdoti. I funzionari di un’entità superiore, alla quale si prostrano e presso la quale cercano consiglio. Questa divinità, livello apicale della società, che domina ogni uomo all'interno della realtà consumista, è l'utilitarismo moderno, la razionalità tecnologica con la televisione come suo oracolo.
«Gli individui sono portati a scorgere nell'apparato produttivo l'agente effettivo del pensiero e dell'azione, a cui pensiero e dazione del singolo possono e debbono cedere il passo.»2 Ogni individuo all'interno della società «illuminata» è eterodiretto, poiché agisce secondo la morale dell'apparato produttivo: ciò che è utile è intrinsecamente buono. Max Horkheimer e Theodor W. Adorno riassumono questo concetto in una efficace metafora: «Il canto delle Sirene cui Odisseo (l’io occidentale-borghese) deve resistere rappresenta il passato; quel passato in cui l’uomo viveva in simbiosi con la natura, o meglio in cui non distingueva Sé dagli oggetti naturali. Lo sforzo di Odisseo di resistere al richiamo della natura-vita, rappresentata da quel canto, è necessario per conservare l’integrità dell’individualità personale dell’uomo borghese, ma soprattutto per mantenere quei rapporti di dominio dell’uomo sull’uomo. Sulla nave di Odisseo i suoi compagni hanno le orecchie tappate con la cera; il loro unico compito è quello di remare. "E’ ciò a cui la società ha provveduto da sempre. Freschi e concentrati, i lavoratori devono guardare in avanti, e lasciar stare tutto ciò che è a lato. […] Essi diventano pratici. […] Odisseo, il signore terriero, che fa lavorare gli altri per sé […] ode, ma impotente, legato all’albero della nave […]. I compagni […] riproducono, con la propria vita, la vita dell’oppressore, che non può più uscire dal suo ruolo sociale."3
L'uomo, alienato dalla sua condizione naturale, è ridotto ad un rapporto puramente genitale con l'esistenza. Come direbbe Marcuse, la società “illuminata” è una società pornografica, che continua a galleggiare solamente grazie alla produzione e alla riproduzione. L'aspetto più inquietante di ciò è la creazione di una “falsa coscienza”, che rende i facenti parte del sistema, nell'acmé di intensità dell'eterodirezione, “falsamente felici”, ovvero soggiogati all'impressione, anch'essa indotta e meramente apparente, di essere felici nell'adempimento del proprio ruolo e nel soddisfacimento degli stessi bisogni fittizi creati dal loro assecondare le logiche di consumo di beni superflui, che tuttavia, pur essendo prodotti dalle “vittime” di tali logiche, portano gli uni, ovvero i consumatori borghesi, a desiderare lo sviluppo, gli altri, gli operai e i produttori oppressi, il progresso4, che si profilano, di fatto, come loro destino ineluttabile e morte di ogni loro libertà.
Pasolini, inoltre, individua un ulteriore strato sociale, esterno alla dinamica di dominio perché 'inutile'. Questo agglomerato di individui disabili, poveri, criminali, emarginati e dimenticati si potrebbe collocare parallelamente alla Natura, ma al di fuori del tempio del dominio, poiché è rinnegato dalla società capitalista, che lo identifica con il non-utile: il male. È il cosiddetto sottoproletariato. Gli uomini e donne che ne fanno parte non hanno nulla da offrire al sistema e di conseguenza non possono nemmeno approfittarne.
La totale emarginazione di questa classe la rende particolarmente interessante agli occhi di Pasolini, che conduce una ricerca dettagliata su questa società parallela a quella industriale. L'obbiettivo è quello di trovare un'alternativa al dominio dell'uomo sull'uomo, una società che possa riacquisire la dimensione della compassione e dell'umanità. Si prendano ad esempio opere come Accattone, Poesie a Casarsa, Ragazzi di vita, Una vita violenta e molte altre.

Come abbiamo visto, l’opera di questo grande letterato è pervasa dall’ideologia marxista, che aveva alimentato innumerevoli ribelli all’inizio del secolo scorso. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che quest’uomo è innanzitutto figlio del suo tempo. Soprattutto nella sua dimensione emotiva.
Pasolini, infatti, fu un uomo pieno di contraddizioni, che soffrì molto per la sua natura interiormente lacerata. Una continua tensione tra i bisogni della carne e i bisogni dell’anima, la sua complicità velata nell’industria culturale italiana, il profondo senso di colpa verso la madre (che «amava troppo») a causa della sua omosessualità, la delusione negli ideali del comunismo dopo i fatti del 1956… Questi sono solo alcuni dei chiodi su cui l’intellettuale fu costretto a giacere per tutta la vita.
Pier Paolo Pasolini è, in morte, un faro sulla natura di ciò che chiamiamo umanità. Una sinfonia di voci sconnesse che si intrecciano e si scontrano alla ricerca della perfetta risoluzione armonica, che però, come in Bach, che lui tanto amava, si trova in fondo all’opera.

1Pier Paolo Pasolini, “Sfida ai dirigenti della televisione”, in Scritti corsari (1975)
2 H. Marcuse, L'uomo a una dimensione (1964), cap. 3, p. 82
3 M. Horkheimer, Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1967), p.78

4Opinione espressa negli «Scritti Corsari», P. P. Pasolini, 1975

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