Incontro con il critico
Gabriele Veggetti
Liceo “Leonardo da
Vinci” di Casalecchio di Reno (Bologna)
18 febbraio 2016
Pasolini
e il cinema
a cura di Giulia Bonfiglioli e Ludovica Sapori, 5a AU, Liceo “Leonardo da Vinci” Casalecchio di Reno (BO)
«Sono
arrivato al cinema dopo i quarant’anni, e questo fatto è stato fondamentale: ho
girato il mio primo film semplicemente per esprimermi in una tecnica
differente, tecnica di cui ignoravo tutto e che ho appreso con questo primo
film. E per ciascun altro film, ho dovuto imparare una tecnica differente
adatta».
(Il
cinema secondo Pasolini, intervista, “Cahiers du Cinéma”, n. 169, agosto
1965, in P.P. Pasolini, Per il cinema, 2, Milano, A. Mondadori, 2001, p.
2906)
L’incontro
con il critico cinematografico Gabriele Veggetti si è aperto con un discorso
generale sul cinema, in particolare sull’aspetto simbolico: il procedimento
cinematografico, infatti, condensa significante e significato nell’inquadratura,
codificando la realtà. Da qui il collegamento alla semiologia del cinema, il
cui massimo esponente è stato Christian Metz (1931-1993), autore dell’opera Il
cinema: lingua o linguaggio?. Lo studioso francese risponde a l quesito del
titolo affermando che il cinema è un linguaggio senza lingua, privo della
doppia articolazione, cioè della distinzione tra i monèmi (le parole) e i fonèmi
(i suoni). Nel cinema ogni inquadratura è un enunciato.
Anche Umberto Eco (semiologo, filosofo e
scrittore italiano recentemente scomparso) con il saggio La struttura
assente (1968) tratta di teoria semiotica riguardante il cinema e le arti
visive. La tecnica cinematografica, secondo l’autore, e in particolare i fotogrammi,
si compongono di cinèmi (le figure visive), e cinemòrfi (le inquadrature).
Veggetti ha collegato le teorie di Metz ed
Eco a quella di Pier Paolo Pasolini (1922-1975). In La lingua scritta della
realtà (1969) Pasolini afferma che la realtà stessa è una specie di cinema
naturale, nel quale l’uomo si rappresenta. Ciò significa che il cinema è sempre
esistito, poiché fin dalle origini l’uomo ha cercato di rappresentare il
movimento. Questo si evince, per esempio, fin dalla pittura rupestre del
Paleolitico, dove gli animali sono stati raffigurati con più tecniche. L’avvento
della cibernetica ha permesso, nel tempo, lo sviluppo di tecniche cinematografiche
sempre nuove. L’uomo è da sempre attore e spettatore del cinema della realtà
che lo circonda; il mezzo tecnico ha permesso via via di registrarla. Il cinema
è una lingua universale, formata da cinèmi (gli infiniti elementi della realtà
presenti nell’inquadratura) e da monèmi (le inquadrature stesse). Veggetti ha
proposto alcune interviste in cui Pasolini sostiene che il cinema non ha
bisogno di attori di professione, perché è la riproduzione tecnica del primo
linguaggio umano: esso è, quindi, una lingua universale e internazionale, in
grado di essere compresa da chiunque la adoperi e da tutti gli spettatori,
indistintamente.
In Empirismo eretico (1972), una raccolta
di saggi sulla letteratura e sul cinema, Pasolini svolge un’analisi della poetica
cinematografica: la tensione del cineasta dovrebbe allontanarsi da un sempre
più diffuso cinema di prosa, legato a un testo letterario, e orientarsi invece verso
la poesia, fatta di immagini preconsce. Centrale all’interno di questo discorso
è la figura di Roberto Longhi (1890-1970), importante storico dell’arte
italiano, di cui Pasolini segue le lezioni all’Università di Bologna. Da lui
assimila, infatti, il concetto di compenetrazione tra letteratura, arte
figurativa e cinema. Pasolini cineasta interiorizza quest’idea e la esprime in
molte delle sue produzioni cinematografiche. Nel film Accattone riprende
la tecnica di Masaccio, in particolare concentrandosi sulla riproduzione della
durezza dei volti; nel celebre episodio La ricotta, contenuto in Ro.Go.Pa.G, traspone
cinematograficamente le Deposizioni di Rosso Fiorentino e di Pontormo; nel
finale de I racconti di Canterbury, nel sogno infernale del frate, cita il
pannello dell’Inferno del Trittico
del giardino delle delizie di Hieronymus Bosch ecc.
Veggetti è poi passato al concetto di
omologazione, introdotto da un filmato: un’intervista del 1971 di Enzo Biagi a
Pasolini e ai suoi compagni di classe del liceo Galvani a trent’anni dal diploma.
Pasolini vi afferma che l’omologazione, il «fascismo della società dei consumi»,
distrugge le realtà particolari e storiche e lo stesso modo di essere degli
uomini. Questa dolorosa e inarrestabile deriva, dominata da un’anarchia apocalittica,
può essere soltanto denunciata, senza alcuna speranza di essere sconfitta. La
totale assenza di speranza riguarda soprattutto i mezzi di comunicazione di
massa. In particolare la televisione è denunciata da Pasolini come artefice di
un insano rapporto di superiorità (rispetto allo spettatore) di chi parla dal
teleschermo. Lo stesso discorso riguarda il successo: all’osservazione che
Biagi fa a Pasolini sul valore della fama ottenuta dallo scrittore nella
società che dice di odiare, Pasolini controbatte affermando che il successo è l’altra
faccia della persecuzione: una falsità legata al medium di massa. Ottenere
successo non è, quindi, qualcosa di buono di cui farsi vanto.
Infine, l’ultima parte della conferenza di
Gabriele Veggetti ha riguardato la produzione cinematografica pasoliniana,
suddivisa secondo sei aree tematiche.
La prima area tematica comprende la
produzione cinematografica riguardante il contesto delle borgate di Roma, con i
film Accattone e Mamma Roma e l’episodio La ricotta.
Partendo dalla produzione letteraria di Ragazzi di vita e Una vita
violenta, Pasolini traspone nel cinema quella vita che non si confronta con
la mercificazione di massa, anzi rappresenta l’autenticità di un passato
(idealizzato) ormai perduto, non viziato dalla società dei consumi.
La seconda area tematica include i film o i
documentari di critica morale ed etica alla società dei consumi: La rabbia (un’analisi
dei motivi del disagio presente), Comizi d’amore (interviste dello
stesso Pasolini a più attori sociali, riguardanti il sesso e i sentimenti), Uccellacci
e uccellini (una favola sulla realtà corrotta), La terra vista dalla luna
e Che cosa sono le nuvole (altre favole “stralunate”).
La terza area tematica si riferisce al tema
del sacro, con La ricotta (per cui Pasolini fu condannato a vilipendio
della religione), e con Teorema, che affronta la distruzione dei
rapporti familiari borghesi. Pasolini intende la religione nel suo
significato etimologico (religio come «credenza») e intende così come sacri e
religiosi gli stessi legami familiari. Riguarda quest’area anche Il vangelo
secondo Matteo.
La quarta area concerne la crisi delle
strutture familiari, con Teorema e Porcile.
La quinta area esplora il mondo del mito
autentico, fatto di realtà primigenie e non corrotte, un mondo perduto e
metafisico. In quest’area sono da comprendere Edipo re, Le mura di Sana’a,
Medea, Appunti per un film sull’India e Appunti per un’Orestiade
africana.
Alla sesta e ultima area, definita “tetralogia
della morte”, sono da ascrivere il Decameron, I racconti di Canterbury, Il
fiore delle mille e una notte e Salò o le 20 giornate di Sodoma. Vita,
morte, sesso, elementi esotici e prevaricazione sul corpo sono le tematiche
principali trattate. Soprattutto la prevaricazione sul corpo è metafora
pasoliniana della prevaricazione della società sull’uomo.
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