Il rapporto tra Pasolini e la madre: “La ballata delle madri” e “Supplica a mia madre”, dalla raccolta Poesia in forma di rosa, 1961-1964
di
Lucrezia Spina, 5O del Liceo Galvani
“Se non riuscite a crescere bene i vostri figli, non penso che tutte le altre cose che fate abbiano molta importanza" (Jacqueline Kennedy, 37esima First Lady degli Stati Uniti)
La
ballata delle madri
Grazie
alla sua natura di letterato all’avanguardia, Pasolini scorge nel
dopoguerra i primi segnali di un profondo cambiamento nella società
italiana, che vede nel capitalismo sfrenato lo strumento per emergere
dalla crisi economica del primo dopoguerra.
In
particolare, nella sua lirica “La ballata delle madri” il poeta
muove una forte critica nei riguardi delle madri cresciute
all’insegna dell’ideologia del consumo e dell’arrivismo
sociale. La lirica è composta da sei strofe, a loro volta costituite
da dieci versi in rima libera con assonanza. L’immagine che emerge
dal testo è quella di un’Italia guidata da dirigenti “conformisti
e barocchi”, da “redattori rotti a ogni compromesso”, il
cui unico pensiero è “sopravvivere”, a dispetto di ogni
norma morale. Questa assenza di “pietà o rispetto per nessuno”
trova la sua origine nelle madri, che si sono fatte carico di
crescere la classe dirigente emergente del tempo.
Alla memoria delle madri della su giovinezza incapaci nella loro purezza di comprendere la realtà così feroce e arrivista a cui l'Italia era giunta, il poeta contrappone diverse tipologie di donne, tutte a loro modo incapaci di amare. Come in un climax ascendente di consapevolezza, le madri del dopoguerra si piegano e assecondano il Potere, insegnano ai lori figli i valori 'borghesi' e la forza dell'odio, considerati più importanti rispetto ai 'valori del cuore'
Alla memoria delle madri della su giovinezza incapaci nella loro purezza di comprendere la realtà così feroce e arrivista a cui l'Italia era giunta, il poeta contrappone diverse tipologie di donne, tutte a loro modo incapaci di amare. Come in un climax ascendente di consapevolezza, le madri del dopoguerra si piegano e assecondano il Potere, insegnano ai lori figli i valori 'borghesi' e la forza dell'odio, considerati più importanti rispetto ai 'valori del cuore'
Le
madri sono quindi “vili”, “preoccupate che i figli
conoscano la viltà per chiedere un posto, per essere pratici”.
Questa viltà sembra essere costitutiva dei loro tratti fisici, così
a lungo segnati dall’incapacità di opporsi ad una realtà che
sembra annientare ogni legame affettivo. Esse sono caratterizzate,
infatti, da “un male che deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia”, che le rende simili tra loro, in
un’omologazione distruttiva di ogni particolarità. Si tratta
dunque di madri “mediocri”, incapaci di dare sia dolore
che gioia o di trasmettere qualsiasi tipo di amore. Esse sono
paragonate a bestie, in uno stadio di degradazione dal quale non è
possibile riemergere.
I
figli stessi di queste madri moralmente degradate non sono più
esseri umani nella propria totalità ma “feti” che
apprendono il valore del servilismo ancor prima di nascere. Il nuovo
nato viene partorito quindi già “servo” di una realtà
che non ha la forza morale di cambiare. Al feto viene infatti
insegnato come un “servo può essere felice odiando chi è, come
lui, legato, come può essere, tradendo, beato, e sicuro, facendo ciò
che non dice.” La stessa felicità originata dall’odio appare
al lettore come un ossimoro o un frutto degenerato di una realtà
ormai deteriorata fino alle fondamenta.
Gli
insegnamenti delle madri attraversano quindi gli stadi di viltà,
mediocrità, servilismo, per approdare alla ferocia. Passando
attraverso l’odio verso il simile, l’insegnamento delle madri
giunge alla ferocia, determinata dalla volontà di mantenere il
proprio status sociale a qualsiasi costo. L’ideologia di queste
madri che difendono gli interessi borghesi, sebbene esse non
appartengano – necessariamente - a questa classe sociale, viene
riassunta dal poeta nell’invocazione distorta “Sopravvivete!
Pensate a voi! Non provate mai pietà o rispetto per nessuno”.
La
durezza di queste parole viene esaltata dalla persona che le
pronuncia: una madre. La simbologia di una madre creatrice di vita
appare decaduto: alla pietà ed al rispetto della vita umana si
sostituiscono l’odio e la volontà di sopraffazione. La pietà ed
il rispetto per la vita sono, infatti, ideali su cui si basa ogni
società democratica; negandoli, le madri descritte dal poeta si
ritrovano in uno stadio di coscienza animale.
La sopravvivenza stessa si differenza dalla vita per molti aspetti, in particolare la sopravvivenza può esistere senza gioia o dolore, senza quindi alcun tipo di sentimento. La vita al contrario è determinata da uno stadio più avanzato rispetto al mero soddisfacimento degli istinti primari che determina la sopravvivenza.
La sopravvivenza stessa si differenza dalla vita per molti aspetti, in particolare la sopravvivenza può esistere senza gioia o dolore, senza quindi alcun tipo di sentimento. La vita al contrario è determinata da uno stadio più avanzato rispetto al mero soddisfacimento degli istinti primari che determina la sopravvivenza.
La
lirica si conclude con una profonda critica alla società del tempo,
caratterizzata dal “rifiuto profondo a essere diversi: a
rispondere del selvaggio dolore di essere uomini”. Sopprimendo
ogni istinto di amore, pietà o compassione, le madri descritte
sembrano essere le fautrici indirette della distruzione dei valori
tradizionali in nome dell’omologazione consumistica. Gli uomini che
esse crescono non sono di conseguenza moralmente in grado di
rispondere delle proprie azioni o decisioni. Le madri sono paragonate
a bestie feroci, così come i loro figli sono “avvoltoi”.
In
questa lirica Pasolini denuncia lo stato di corruzione morale
dilagante in Italia, definita come “una valle di lacrime”.
L’odio e l’ipocrisia sembrano distruggere ogni sentimento
positivo ed ogni speranza per il futuro in un mondo distrutto: gli
uomini hanno dimenticato il valore della vita stessa e sacrificano la
loro unicità in nome della “normalità e dello stipendio”.
La
profonda disillusione e delusione del poeta appare ancora più
sferzante in correlazione al titolo di questa lirica: “La ballata
delle madri”. Il termine ballata ricorda le forme di poesie
originatesi sin dal Tardo Medioevo per accompagnare la danza o il
ballo. In particolare le ballate erano composte da un ritornello di
introduzione seguito da una o più strofe, chiamate stanze e recitate
dal solista, e da un ritornello cantato dal coro. Si tratta quindi
di una forma letteraria generalmente utilizzata per momenti di festa
e suggerisce armonia.
Le
descrizioni delle madri nella lirica sono tuttavia sferzanti e
critiche nei riguardi di donne incapaci di amare e dei loro figli
cresciuti nel culto dell’odio. La gioia del vivere suggerita dal
titolo viene quindi infranta da una realtà molto differente e quasi
“mostruosa”, animalesca.
Supplica a mia madre
Ad
un medesimo livello di “mostruosità” si può tuttavia giungere
anche a causa di “eccesso di amore” da parte di una madre.
In
un’intervista presente nelle “Pagine corsare”, il letterato
racconta la propria infanzia, descrivendo così il rapporto con la
madre: « semplicemente che ho provato un grande amore per mia madre.
La sua “presenza” fisica, il suo modo di essere, di parlare, la
sua discrezione e la sua dolcezza soggiogarono tutta la mia infanzia.
Sono rimasto convinto per molto tempo che tutta la mia vita
emozionale ed erotica era stata determinata esclusivamente da questa
passione eccessiva, che ritenevo addirittura una forma mostruosa
dell'amore.»
Il
rapporto che il giovane Pasolini aveva con la madre era esclusivo e
totalizzante, enfatizzato dalla violenza di un padre per lungo tempo
assente. L’immagine che il letterato dà del padre è quella di un
uomo forte ma al tempo stesso violento e possessivo, incapace di
esprimere l’amore che portava verso la madre o il figlio. Il poeta
parla di innumerevoli discussioni tra la madre ed il padre, che
culminavano in silenziosi lamenti della madre. La difficoltà nei
rapporti con il padre lo portarono ad un odio profondo verso questa
figura, che incarnava l’ideologia conformista borghese e fascista.
L’unione
con la madre si fece più profonda negli anni dell’adolescenza di
Pasolini, quando il padre era trattenuto in un campo di prigionia in
Africa. Egli si sostituì idealmente al padre come ricevente
dell’amore materno e questo lo portò all’incapacità di superare
la fase di sviluppo edipica. Lo stesso tema del complesso di Edipo
venne più volte ripreso ed analizzato dal letterato stesso.
Nella
lirica “Supplica a mia
madre” Pasolini le scrive quella che appare una
dichiarazione d’amore molto più profondo di quello che un figlio
potrebbe nutrire per la propria madre. La poesia è composta da dieci
brevi distici, il cui ritmo è scandito dall’alternanza di rime
baciate e libere. L’intimità del discorso viene esaltata dall’uso
della figura retorica dell’ellissi, secondo la quale molte delle
frasi portanti del testo vengono sottintese.
L’amore
per la donna è stato il primo vero amore del poeta, nonché l’unico:
la madre è “insostituibile” e per questo “è
dannata alla solitudine la vita che mi hai data”. Nonostante
l’angoscia del poeta “nasca dalla grazia della madre”,
egli non può in alcun modo odiarla, poiché in ella si trova la sua
“anima”.
La
madre diventa quindi sede di un amore al tempo stesso vicino ed
irraggiungibile, che porta il poeta ad essere “schiavo” di un
sentimento che non potrà mai completamente realizzare. L’infanzia
del poeta fu quindi segnata da “un impegno immenso”, che
egli porta nei confronti di se stesso e della madre. L’amore che
l’Io narrante cerca è completo: nella madre egli ritrova l’amore
puro e spirituale, mentre nei “corpi senz’anima” sazia
la sua “infinita fame”. Questa frantumazione interiore
viene messa in rilievo dall’uso dell’enjambement e dalla mancanza
della rima con la parola “anima” nel verso successivo. La
divisione tra l’anima e il corpo del poeta appare dunque ancor più
evidente.
La frattura tra un amore prettamente carnale e quello spirituale è impossibile da sanare e questo condanna l'autore alla solitudine: con l'allontanamento della madre cessa il motivo stesso del vivere. Alla vita si sostituisce una 'sopravvivenza' priva della 'ragione' che rappresentava il punto fermo per l'autore in mezzo alla 'confusione della vita'.
La frattura tra un amore prettamente carnale e quello spirituale è impossibile da sanare e questo condanna l'autore alla solitudine: con l'allontanamento della madre cessa il motivo stesso del vivere. Alla vita si sostituisce una 'sopravvivenza' priva della 'ragione' che rappresentava il punto fermo per l'autore in mezzo alla 'confusione della vita'.
Il
poeta non è quindi pronto a lasciare la madre, anche dopo averle
confessato la ragione della propria omosessualità. Egli la supplica
di “non voler morire”, di non allontanarsi dal figlio
nonostante ciò che lui le ha scritto nella lirica. La ripetizione in
anafora della supplica, “ti supplico, ah, ti supplico” enfatizza
il dolore del poeta.
Tuttavia le parole dell'Io narrante, poeta-figlio-amante, chiudono la lirica con un'ultima parola di speranza, seppure labile; quella di rivedere la madre in un 'futuro aprile' e quindi non esserne per sempre separato.
L'immagine finale è dunque di una grande dolcezza rispetto al dolore che emerge dal resto della lirica, venata dal dolore di una confessione che potrebbe allontanare per sempre la madre di lui e con essa l'anima del poeta. Il mese di aprile rappresenta infatti il mese primaverile della nascita, mentre l'immagine di madre e figlio soli rispecchia un desiderio di completezza, di fusione, poiché il poeta senza la madre si sente come 'un corpo senz'anima' e solo la vicinanza di lei lo rende completo e 'vivo'.
Tuttavia le parole dell'Io narrante, poeta-figlio-amante, chiudono la lirica con un'ultima parola di speranza, seppure labile; quella di rivedere la madre in un 'futuro aprile' e quindi non esserne per sempre separato.
L'immagine finale è dunque di una grande dolcezza rispetto al dolore che emerge dal resto della lirica, venata dal dolore di una confessione che potrebbe allontanare per sempre la madre di lui e con essa l'anima del poeta. Il mese di aprile rappresenta infatti il mese primaverile della nascita, mentre l'immagine di madre e figlio soli rispecchia un desiderio di completezza, di fusione, poiché il poeta senza la madre si sente come 'un corpo senz'anima' e solo la vicinanza di lei lo rende completo e 'vivo'.
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